La cosiddetta “riforma del Titolo V” della Costituzione, cioè la legge costituzionale 3 del 2001 approvata dall’allora governo di centrosinistra (e confermata da un referendum), ha modificato a livello profondo l’assetto istituzionale dell’Italia. Ha ampliato i margini di autonomia regionale e locale, e suddiviso in modo nuovo le competenze legislative tra Stato e Regioni.
È una riforma che, negli ultimi anni, è stata al centro di molte critiche, mentre da più parti si è parlato della necessità di cambiarla: la riforma costituzionale proposta dal governo Renzi e bocciata nel 2016, ad esempio, riscriveva parecchio il Titolo V e ridefiniva le materie di competenza dello Stato e delle regioni.
Già oggi l’articolo 116 della Costituzione, dopo la riforma del 2001, prevede che possano essere attribuite alle regioni a statuto ordinario «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», nelle materie oggetto di competenza concorrente tra Stato e regioni (v. art 117 co.3 Cost.) e nelle materie di competenza esclusiva dello Stato – ma, in questo secondo caso, solo riguardo l’organizzazione della giustizia di pace, a norme generali sull’istruzione e alla tutela dell’ambiente e dei beni culturali.
Per farlo serve una legge dello Stato, sollecitata dall’iniziativa della regione stessa, e sentiti gli enti locali. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la regione interessata.
Questo articolo della Costituzione non ha mai trovato piena applicazione e nessuna legge di quel tipo è mai stata approvata, ma tre regioni si sono attivate in questa direzione già nell’ultima fase della scorsa legislatura.
Le regioni Lombardia e Veneto hanno infatti svolto il 22 ottobre 2017, con esito positivo, due referendum consultivi sull’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. La Regione Emilia-Romagna si è invece attivata con l’approvazione da parte dell’Assemblea regionale, il 3 ottobre 2017, di una risoluzione per l’avvio del procedimento finalizzato a ottenere maggiore autonomia.
Il 28 febbraio 2018 l’allora governo Gentiloni ha siglato tre distinti accordi preliminari con queste regioni. Ciascun accordo dà conto del percorso intrapreso, dei principi generali condivisi, della metodologia e contiene un (primo) elenco di materie che potrebbero essere attribuite all’autonomia regionale, in vista della definizione dell’intesa definitiva.
Nonostante quella che sembrava essere una svolta nel processo di negoziazione degli accordi tra il governo e le tre regioni menzionate, il precedente governo Lega-M5s non ha preso alcuna decisione significativa in materia.
Uno dei punti di dibattito riguarda proprio la definizione negli accordi dei cosiddetti “fabbisogni standard”, ossia i parametri a cui correlare le spese degli enti locali che attengono ai diritti fondamentali di cittadinanza.