A giugno 2018, la Fondazione Debenedetti ha presentato un report in cui si stima che i cosiddetti gig workers (o lavoratori digitali) in Italia siano tra i 700 mila e un milione. Per 150 mila di questi (lo 0,4 per cento della popolazione) si tratta dell’unico lavoro.
Gli addetti alla consegna di cibo a domicilio che operano per le piattaforme digitali (i cosiddetti “riders”) sono circa 10 mila – con un guadagno medio di circa 12,5 euro lordi l’ora – mentre i fattorini in generale costituiscono solo il 10 per cento dei soggetti totali impiegati nella gig economy.
Da tempo si discute della questione legale sui diritti dei lavoratori: se debbano essere considerati lavoratori autonomi – come per esempio un idraulico – o subordinati, come se fossero dipendenti.
I gig workers possono in teoria decidere per quanti giorni lavorare, quando iniziare e quando smettere. Ma in molti casi, il loro pagamento non è orario ma a cottimo e sono senza tutele sociali, come una paga minima, ferie e malattia.
Ad aprile 2018, una sentenza del Tribunale di Torino ha stabilito che i fattorini di Foodora devono essere considerati lavoratori autonomi. A marzo 2018, la Commissione europea aveva invitato i Paesi dell’Unione a formulare nuove normative per garantire una maggiore sicurezza ai lavoratori della gig economy, dando seguito alle raccomandazioni contenute in un report del Parlamento europeo.