«Occorre […] introdurre una legge sulla parità di genere nelle retribuzioni»
Gli ultimi dati ufficiali sulla disparità di genere nelle retribuzioni risalgono al periodo 2014-2015. L’allora presidente dell’Istat Giorgio Alleva li aveva illustrati, a ottobre 2017, nel corso di un’audizione alla Camera.
Come riportava Alleva, «nel 2014, il reddito guadagnato dalle donne è in media del 24 per cento inferiore ai maschi (14.482 euro rispetto a 19.110 euro); tale differenza è diminuita dal 2008, quando era del 28 per cento».
Da un punto di vista normativo, la parità di genere è in teoria già sancita dall’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), che ha rango costituzionale nell’ordinamento italiano e stabilisce che «ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore».
Più nello specifico, l’articolo 157 del Tfue prevede che «la retribuzione corrisposta per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura» e che «la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per uno stesso posto di lavoro».
In applicazione di questo principio fondamentale dell’Unione, nel 2006 è stata emanata anche la direttiva n. 54 che si pone l’obiettivo di far attuare in concreto agli Stati membri la parità di genere nelle retribuzioni.